Il Titanic ecosostenibile e i batteri che eliminano gli inquinanti
Smart city, il lavoro di un’alunna dell Its Sturzo di Castellammare (Maria Cotticelli, Quinta O 2015/16) presentato alla conferenza del 9 febbraio 2017.
Il Titanic del 2018 sarà ecosostenibile
DI CIRO CAROLEI · 11 FEBBRAIO 2017
A cura di Maria Cotticelli (da “Green Generation”)
Il Titanic è stato l’emblema di un’epoca caratterizzata dalla fiducia nella scienza, nell’uomo e nel progresso, elementi che permisero la sua costruzione nel 1912 e che ancora oggi influenzano la nostra società. Un esempio di quanto detto è il progetto avviato da Clive Palmer, proprietario delle più note industrie navali australiane nonché membro del parlamento, che per omaggiare la nave naufragata decise di ricrearne la sua copia mantenendone lo stile e l’atmosfera dell’epoca e servendosi anche delle nuove tecnologie nate nell’arco di questi 100 anni che garantiranno innanzitutto di limitare il carico inquinante. Bisogna ricordare che il Titanic del 1912 consumava tra le 600 e le 850 tonnellate di carbone al giorno, la cui combustione generava: Ossidi d’azoto: responsabile dello smog fotochimico e delle piogge acide, liberato sotto forma di due gas (monossido d’azoto e biossido d’azoto); Ossidi di zolfo: liberato come anidride solforosa è responsabile dello smog di zolfo, delle piogge acide, di fumi e nebbie; Anidride carbonica: che ritroviamo già nella composizione della nostra atmosfera ma la cui presenza in concentrazioni elevate causa, insieme ad altri gas, l’effetto serra; Polveri: sono particelle in sospensione che a seconda del loro diametro penetrano nei vari livelli delle vie aeree fino ad entrare nella circolazione sanguigna causando effetti nocivi gravi, soprattutto a lungo termine; Le ceneri rimanenti nella caldaie erano poi destinate allo stoccaggio dei rifiuti pericolosi una volta arrivate in porto. Tutti questi gas danneggiavano l’organismo, provocando infiammazioni acute e croniche, come ad esempio la laringite e la bronchite, fino ad arrivare addirittura ai tumori, come ad esempio il cancro ai polmoni. Per limitare questo impatto, il Titanic che salperà nel 2018 si è servito di una tecnologia tutta italiana: il SETH, brevettato dalla società di ingegneria di Green Engineers e da Energy&Innovation. Si tratta di un sistema semplice di marmitta catalitica che si posiziona sulle ciminiere delle navi, in banchina o a bordo di chiatte con l’obiettivo di eliminare i gas di scarico citati sopra grazie ad una struttura a nido d’ape rivestita da catalizzatori come il palladio, che catalizza l’ossidazione da monossido di carbonio ad anidride carbonica, il rodio, che catalizza la riduzione di ossido d’azoto ad azoto molecolare, e il platino, che completa la combustione degli idrocarburi: gli ostacoli di questo sistema sono che fino a quando il convertitore non raggiunge una temperature di 30o°C questo non si attiva, e che nei motori diesel non è consigliabile una sua applicazione. Le reazioni che avvengono all’interno di questo convertitore sono possibili per mezzo dell’ossigeno presente nei gas di scarico e per questo è previsto l’impiego di una sonda sensibile all’ossigeno, detta sonda λ, che ha la funzione di dosare attraverso un circuito elettronico la miscela ottimale aria/combustibile, secondo un rapporto 14,7 : 1. Per quanto riguarda invece l’inquinamento delle acque, che accomuna sia il Titanic del 1912 sia quello del 2018, questo è provocato soprattutto dallo sversamento dei liquami, oli e additivi per la manutenzione che tendono a provocare fenomeni quali l’eutrofizzazione, ovvero una crescita algale eccessiva dovuta alla presenza di nitrati e fosfati superiore ai limiti di legge, o la comparsa di una “pellicola” sulla superficie dell’acqua che filtra la luce, ostacolando la fotosintesi della vegetazione marina, e inibisce gli scambi d’ossigeno. Uno dei modi naturali per arginare questo problema è l’utilizzo di batteri in grado di metabolizzare sostanze tossiche come il petrolio e i suoi derivati, ad esempio Acinetobacter venetianus. Ma per ricoprire un’area così vasta, questi batteri andrebbero innanzitutto ingegnerizzati e poi monitorati con tecniche analitiche costose, quali ad esempio gascromatografia e spettrofotometria di massa, a meno che non siano in grado di sviluppare luminescenza quando sono fisiologicamente attivi durante il processo di biorisanamento come nel caso di Pseudomonas fluorescens.