Incontri con l’autore, gli studenti intervistano Capaldo

Un nuovo appuntamento per gli Incontri con l’autore all’Its Sturzo di Castellammare. Protagonista lo scrittore Francesco Capaldo, autore del romanzo “L’estate di Caronte”.

All’incontro, presenti la docente organizzatrice Adele Tirelli e la dirigente scolastica Cinzia Toricco, c’erano gli alunni della classe I G e alcune allieve di V G.

Francesco Capaldo è poeta, narratore e drammaturgo. E’ autore di diverse opere: La promessa del giorno; La signora Orlandi  (Ladolfi 2017); ha curato un Commento ai Canti di Giacomo Leopardi per Demetra (Giunti,2019).

Qui di seguito la recensione scritta dall’alunna di I G Sara Aprea e l’intervista all’autore realizzata dagli alunni.

RECENSIONE DEL ROMANZO

“L’ ESTATE DI CARONTE”

L’estate di Caronte di Francesco Capaldo è un romanzo umoristico, edito nel febbraio del 2021. Si caratterizza per una scrittura semplice fatta di dialoghi brevi con cui l’autore porta il lettore nel suo mondo narrativo, dove il reale si mescola con la fantasia, dove l’impossibile diventa possibile. Il romanzo ha inizio in una calda notte di Ferragosto: un sogno premonitore e una visita improvvisa a una vecchia amante non più tanto giovane e bella come una volta sconvolgono la vita del protagonista Adsum, un semplice impiegato postale, fino all’inaspettata conclusione.

 Agli occhi dei personaggi i luoghi appaiono quasi trasfigurati, come quelli della Firenze di oggi, per mezzo di una narrazione mai contorta, ma sempre delicata, scandita da un linguaggio medio, da un continuo senso dell’umorismo, che non risparmia niente e nessuno, e ridicolizza la mediocre e banale realtà in cui vivono. Tutte queste caratteristiche fanno sì che si crei un ottimo congegno narrativo, uno stile coinvolgente, scattante. Il finale imprevedibile lascia il lettore con il desiderio di continuare a leggere dopo aver terminato la lettura del romanzo. Insomma è un libro che si legge facilmente, di lettura scorrevole e piacevole, molto strutturato, che fa pensare facendo ridere. Lo consiglio apertamente a chi vuole godersi una sana lettura umoristica, agevole e corrente.

                                                                               Sara Aprea

Professore, sappiamo che in Italia gli scrittori difficilmente scrivono libri umoristici. Cosa l’ha spinto a scrivere proprio un romanzo umorista?

Sicuramente la leggerezza, l’intento di indurre con leggerezza a pensare. Questa è l’idea di fondo che ha mosso il tutto. Penso che certe cose si possano dire anche sorridendo e che, forse, l’humor sia più efficace del tragico e, per tanti versi, anche più difficile.

Il titolo del romanzo, L’estate di Caronte, è singolare. Caronte non è il demonio, il guardiano dell’Acheronte. Il meteo si fa mito. Minosse, Scipione, Plutone sono nomi mitologici prestati alla meteorologia. Che ruolo ha Caronte nel romanzo?

Caronte mette in moto tutto. Non è solo un anticiclone. È un momento di ‘verità’, mi viene da dire di senso, che sconvolge la vita del protagonista, la mette in moto, la strappa alla ripetitiva quotidianità.

Quale ritiene sia la parte più interessante del romanzo?

Non ce n‘è una in particolare, ma forse quella sulla scuola.

Nel suo romanzo c’è un riferimento forte alla scuola. Qual è la sua idea di scuola? Come dovrebbe essere, a suo avviso, la scuola?

Una domanda che richiederebbe una risposta lunghissima, ma cercherò di essere sintetico. Innanzitutto un’idea che metta al centro l’uomo. Un modello educativo che non pone al centro l’uomo è alla fine fallimentare. La tecnica, che può essere anche la strumentazione tecnologica, è necessaria, ma deve essere al servizio dell’uomo, e non deve accadere il contrario. Quello che critico, nelle mie pagine, un po’ sorridendo, è un modello che mi sembra che abbia dimenticato l’umanità e abbia dimenticato l’uomo, che è fondamentale per crescere e per apprendere. Tutto il resto sono strumenti di cui ci serviamo.

Nel testo, a proposito di un alunno, Rodolfo, e la sua fobia scolare, analizza in maniera sorridente un aspetto della nostra attualità, i BES, i cosiddetti bisogni educativi speciali.

Si, non ritengo che l’attenzione per i BES sia negativa, ci mancherebbe, è una conquista, è un passo in avanti; critico, piuttosto l’abuso che se ne fa, la degenerazione che impedisce di farne buon uso, e ne così vanifica la funzione.

Il suo romanzo presenta più piani di lettura. A cosa si deve la scelta dei nomi in latino, da quale esigenza è dettata?

Si, nel romanzo c’è sicuramente il piano umoristico, può esserci anche un altro piano di lettura che è quello meno immediato, di tipo filosofico. Adsum siamo noi, che esistiamo, Nihil è il nichilismo, Absum è l’assente, può essere un principio di bene o di male o un principio che regola il tutto. Non è un caso che alla fine del romanzo non è Adsum che va da Absum ma è Absum che va a cercare Adsum. Perciò l’altro piano di lettura è il rapporto con il nichilismo, il rapporto con l’esistere. È quello meno immediato, però c’è anche, sicuramente, anche questo. La morte di Nihil è la morte del nichilismo, per me. Quindi indirettamente forse alludo anche a una mia ricerca filosofica, in cui forse ho abbandonato alcune idee del passato. Insomma a un superamento del nichilismo.

Quale è stata la spinta ad intraprendere la strada di scrittore?

Innanzitutto l’ho sempre avuta, però c’è sempre una prima volta. Avevo dieci anni, ero alle scuole elementari ed ebbi non so se chiamarlo impulso o istinto a scrivere; poi ho sempre continuato, ma avevo altri progetti di vita. A un certo punto mi capitò al terzo anno di scuola superiore un professore poeta e scrittore. In quei tre anni, io che avevo il sogno di fare lo scienziato, capii che non l’avrei mai fatto. Gli incontri sono importanti. L’incontro col mio maestro è stato fondamentale.

Quale messaggio ha voluto trasmettere?

Innanzitutto penso che quando si scrive si finisce anche per dire quello che non si vuole dire. Con molta probabilità, se la scrittura ha ottenuto il suo risultato, ho anche detto quello che non avevo intenzione di dire. Sicuramente nelle mie intenzioni voleva essere una critica abbastanza forte alla società moderna, caratterizzata spesso dall’inconsistenza nei rapporti. In fondo le donne del romanzo considerano gli uomini come oggetto da usare. Allo stesso modo, Adsum ha una visione maschilista delle donne, ne ammira solo la bellezza fisica ma è incapace di cogliere altro. Non è certo questo il modo giusto di vivere i rapporti. È chiaro che io critico un mondo all’insegna della superficialità. È probabile che rispetto a questo forse, almeno spero, abbia detto anche qualcosa che è sfuggita alla mia intenzione. Ma questo sta al lettore dirlo. Una volta scritto un libro non appartiene più all’autore, ma è di chi lo legge!