Leopardi, la solitudine della sensibilità/ In V G commenti d’autore con Capaldo
Gli alunni della V G – Turismo
Sabato 2 ottobre si è svolto sulla piattaforma Meet, per impulso della professoressa Adele Tirelli, un incontro tra gli allievi della VG Turismo e il professore Francesco Capaldo, autore di un recente libro, un commento ai Canti di Leopardi, edito da Giunti. Presente all’incontro anche la dirigente scolastica, dott.ssa Cinzia Toricco.
Professore, come è nata l’idea di commentare i Canti di Leopardi?
È nata su richiesta del responsabile della collana classici, che voleva che io coniugassi i miei interessi di studioso, di narratore e anche di poeta. Da qui l’idea di un commento narrativo al servizio del testo, che invogliasse a leggerlo.
Perché mancano note linguistiche? Perché ci sono già tante edizioni fatte così e non aveva senso farne un’altra. Tutto ciò che in genere è nelle note è raccolto in una breve parte introduttiva finalizzata a guidare il lettore alla lettura dei singoli Canti e a restituire il percorso della poesia, anche con riferimenti alla vita del poeta, e facendo emergere anche il rapporto che esiste fra i vari testi. È insomma un altro modo di fare critica.
Che importanza riveste la luna nei versi del poeta recanatese?
La luna è sempre presente nei suoi versi. Collegherei questa presenza alla predilezione del poeta per i notturni. La luna esercita un fascino fortissimo su di lui e ciò è dovuto a vari fattori. In primo luogo, al suo interesse per l’astronomia che coltiva fin da giovane. Ma c’è anche una ragione di tipo psicanalitico: la luna rimanda alla figura materna e noi sappiamo che il problema della madre, intesa anche come Natura, cioè come colei che dà la vita, è centrale nella riflessione leopardiana, che a conclusione del suo pensiero diventa matrigna, cioè la principale responsabile dell’infelicità umana.
Che rapporto ha Leopardi con la Natura?
Un rapporto dialettico, di tipo filosofico estremamente legato alla cultura italiana ma anche alla cultura europea.
Quale cultura italiana in particolar modo?
Non solo quella greco-latina ma anche quella del Quattrocento e del Cinquecento. Basti leggere i testi dello Zibaldone, che è una fonte importantissima anche per il suo percorso di scrittura. A partire dagli anni precedenti il 1824 Leopardi si interessa molto al Cinquecento italiano. Penso a diversi autori: Tasso, il filosofo padovano Sperone Speroni, ed altri ancora.
Che rapporto il Poeta aveva con la madre?
La madre era anaffettiva nei confronti dei figli, quindi questo non può non aver lasciato traccia in un animo sensibile, anzi ipersensibile come quello di Leopardi.
È vero che l’universo non potrebbe esistere senza la sofferenza dell’uomo?
Nel Dialogo della Natura e di un Islandese emerge un contrasto tra l’ordine delle cose e il desiderio dell’uomo. Il sistema della natura è di tipo meccanico, quindi mira solo alla conservazione della materia. La natura non mira a provocare sofferenza ma risponde solo a delle leggi che sono necessarie per l’esistenza stessa dell’universo. Da questo iato fra il desiderio di felicità dell’uomo e l’ordine delle cose nasce l’atto di accusa che l’islandese rivolge alla natura.
Leopardi se rinascesse oggi si sentirebbe più capito? Se sì, come questo influenzerebbe la sua poetica?
Credo di no. Il Poeta aveva un’acutissima sensibilità e una profonda inquietudine e questa era probabilmente la ragione per cui raramente si trovava bene nei luoghi in cui è stato durante la sua vita.
Di tutti i Canti che ha commentato qual è quello che le sta più a cuore?
Tengo molto al commento che ho scritto per la lirica Imitazione. In questa lirica mi sembra quasi di intravedere una sorta di ‘pacificazione’ del poeta con le cose.
Nella ginestra Leopardi invita gli uomini a consorziarsi contro la Natura. Che differenza c’è tra la social catena leopardiana e l’affratellamento di fronte al mistero, all’atomo opaco del male, di farsi trovare in pace quando sopraggiunge la morte con la sua fiaccola accesa di Giovanni Pascoli?
Pascoli e Leopardi sono molto diversi, anche se apparentemente potrebbero esserci degli aspetti comuni, come il rapporto con la natura. La differenza sostanziale, secondo me, è che Pascoli è poeta, ma non filosofo. Leopardi è poeta, ma è anche filosofo, linguista, moralista, filologo. Tutta la sua poesia è sostenuta da una ricerca filosofica. Pascoli ha una sensibilità cristiana, ha anche aderito alle idee socialiste. Leopardi, invece, dopo l’entusiasmo giovanile per le idee liberali, matura un atteggiamento di scetticismo di fronte a qualsiasi forma di progresso. Nella Palinodia al marchese Gino Capponi fa una critica durissima alle istanze progressiste del proprio tempo, ne La ginestra critica “le magnifiche sorti e progressive”. La critica al facile ottimismo è chiaramente collegata a quella che è la sua ricerca di senso, che è il filo rosso comune a tutta la sua opera. In Pascoli tutto questo non lo troviamo. Non esce purtroppo dal trauma della sua esperienza personale; Leopardi, invece, è un poeta, un uomo che, nonostante i suoi problemi fisici, ha per paradosso un grande amore per la vita.
Cosa avrebbe detto Leopardi ad un ragazzo del XXI secolo?
Di non accettare acriticamente quanto legge o ascolta. Di sforzarsi di cercare la verità, di essere curioso. Il Poeta infatti era curiosissimo fino a poco prima di morire. Per paradosso amava la vita più che mai. Quell’amore per la vita lo porta a Roma, Firenze, Pisa, a Napoli, a stare tra la gente; legge fino a poco prima di morire, studia, guarda verso il cielo. Giustamente è considerato un poeta di statura europea, mondiale, paragonabile soltanto a Virgilio, a Orazio o ai grandi poeti greci, esce molto dai confini della letteratura italiana.
Si può dire che Leopardi è il primo dei moderni?
Queste sono delle etichette. Io direi che il poeta è moderno quando riesce sempre a parlare al cuore dell’uomo. Attenzione a non fare della modernità un mito. La nostra modernità è piena di contraddizioni. E Leopardi lo aveva capito.
Come mai per Leopardi l’infinito è connesso all’immaginazione?
Per Leopardi l’immaginazione, al contrario della ragione, è la vera facoltà creativa o meglio l’unica facoltà che consente all’uomo di cogliere l’infinito. È quel ‘caro immaginar’ che gli ha donato la poesia, e anche momenti di pace nelle sofferenze e inquietudini della sua vita.
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