Ho imparato… che mi manca il traffico

R. Guttuso – La Vucciria

di Giuseppe Guida (V S)

Oscillando con la mente nei mesi scorsi vissuti a ballare, bere, divertirci, parlare, a pensare quando stavamo tra quei banchi di scuola tanto noiosi; stavamo insieme e non capivamo come quei momenti a volte anche scoccianti, ripetitivi, diventati una monotona routine, un giorno potessero mancarci così tanto. Non parlo dei ricordi degli anni d’oro di un anziano nostalgico e non sono neanche parole di un universitario fuoricorso saccente ma dei pensieri di un qualsiasi ragazzo in questi giorni di quarantena persi tra la noia, la solitudine e il nostro pigiama. Una realtà surreale, una pagina di un futuro libro di storia vissuta tra quattro pareti dove si trascorrono le giornate vacillando tra videochiamate, Netflix, musica e le illimitate ore a dormire.

Smarriti e impauriti da un nemico invisibile per ora più forte di noi, siamo come formiche al cospetto di un bambino che si diverte ad ucciderle; impotenti e limitati ad aspettare che questo male vada via, per tornare a vivere, per abbracciarci di nuovo, per abbracciarci più forte di prima. Ma per far sì che questo avvenga, non dobbiamo mollare, dobbiamo resistere in casa, ai bombardamenti delle notizie di ogni TG, allo svegliarsi per le video lezioni alle otto e mettersi davanti ad un pc e fissarlo per ore, dobbiamo resistere alle Challenge su Instagram e alle preghiere dei quarantenni su Facebook, dobbiamo resistere alla noia e alla voglia improvvisa di diventare atleti e andare a correre. Stiamo diventando tutti pasticcieri, pizzaioli, estetiste, influencer, ragazzi sovrappeso… e nonostante tutto va bene così. Dobbiamo stringere i denti e stare sul nostro letto, lo stesso letto che un mese fa piangevamo quando ci svegliavamo all’alba per andare a scuola.

E, dopo tale afflusso di emozioni, quasi come se la mia vita fosse un ossimoro, contraddico che mai come ora mi sento unito alla mia famiglia, ai miei amici ed ai miei professori, insieme nella difficoltà di tale periodo, nell’ansia di un esame vicino e indefinito, consapevoli che questi ultimi mesi da “immaturi” ci stanno purtroppo sfuggendo indegnamente nello sciabordare come onde in tempesta dei numeri crescenti di infetti. Come morale di tale drammatico e forse esagerato sfogo credo che tutti, o almeno io, abbiamo imparato a sfruttare i tempi morti grazie a queste giornate altrettanto “non vive” come per esempio scrivere un articolo per semplice voglia di farlo anche se lo leggeranno solo due professori per dovere. Non dimenticherò soprattutto che non dovrò dare niente per scontato, anche le più piccole delle azioni di una giornata come per esempio fare la spesa, prendere il treno in compagnia mentre si va a scuola, girare per le strade della città con il motorino, prendere un caffè con un amico… e che proprio quest’ultime e piccole azioni definiscono le sfaccettature delle nostre giornate e delle nostre vite.