I racconti degli alunni/ Non ero io la tua destinazione

di Rachele Valanzano (I C)

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Mi dici che dovrei iniziare a trarre delle conclusioni perché nonostante la mia piccola età, posso permettermelo. Mi dici che posso farlo già da adesso perché le risposte potranno far male e quindi, prima le saprò e prima le metabolizzerò. Faranno male ma intanto con te sto bene; è un po’ come mangiare fino allo scoppiare per poi pentirsi di aver esagerato così tanto, il problema è che io ancora non me ne pento. Non mi pento di averti conosciuta, di averti parlato fin dal primo momento con il cuore in mano, con tutta la sincerità di questo mondo. Tu hai sempre parlato solo di me e delle tue impressioni esteticamente e caratterialmente ma non ti piace parlare di te, non ti piace il fatto che gli altri ti vedano come tu non hai progettato, non so perché, ma fondamentalmente ho come l’impressione che tu non voglia  per la paura di essere giudicata, perché non vuoi far notare i difetti, ma non sai, che sono proprio quei piccoli difetti che amo. Amo quando nonostante vada a dormire mandi messaggi consapevole del fatto che li leggerò la mattina dopo; è proprio con questo pretesto che noi iniziamo a parlare nuovamente ogni mattina. Amo quando parliamo e magari mentre mi guardi, rimani a fissarmi le labbra, poi noti che io me ne sono accorta, mi guardi negli occhi e poi sorridi. Amo quando parlando ti metti in difficoltà da sola e non sai più che dire, così inizi a parlare dicendo frasi a caso finché non ti fermo con la solita frase “cambiamo argomento”.  Amo quando guardi qualcosa che ti piace al punto tale da morderti le labbra. Amo quando arrossisci per un complimento. Amo quando sorridi così da far sorridere anche me, involontariamente. Mi hai sempre detto che nei miei occhi vedi la sincerità ma vedi anche la stanchezza, perché tutti quelli della mia età si aggrappano agli specchi ma invece io riesco ad aggrapparmi a me stessa e, proprio per questo, mi vedi al limite.
Mi hai dato tanto senza che io ti chiedessi niente, mi hai dato la vita e non te ne sei neanche resa conto. Tu mi hai dato tutto in poco tempo, quando poi ci sono state persone che in una vita non mi hanno dato nulla. Ricordi quando mi dicesti: “Senza sapere niente della tua vita, mi hai dato l’impressione di una ragazza forte, forse la più forte che io abbia mai conosciuto”,  io sì, lo ricordo bene, lo tengo impresso nella mia mente e non credo dimenticherò mai queste parole; non dimenticherò mai te, te che sei stata fin da subito parte importante di me. Recentemente poi mi hai detto: “Hai presente quando ti dissi che senza sapere nulla di te ti consideravo forte? Ne sono sempre più convinta ogni giorno che passa”. Ti ho chiesto senza pensarci due volte il motivo per il quale mi considerassi così e tu hai aggiunto: “Non sapevo ancora che tu avessi avuto una madre assente e un padre senza responsabilità. Sei cresciuta da sola, o forse non proprio da sola, ma con degli ostacoli, e non c’è cosa più brutta che avere come ostacoli i propri genitori. Per questo ti ho considerato matura fin dall’inizio; si vede, si legge nei tuoi occhi che lo dicono chiaramente. Deve essere brutto crescere da sola, ma almeno hai imparato a contare solamente su te stessa, ad imparare da sola dai tuoi errori… sei da prendere come riferimento per molti ragazzi della tua età”.  Sono rimasta colpita da quelle parole, non solo perché erano dei complimenti, ma perché erano detti da te, e fidati, non c’è niente di meglio.
E come dimenticare di tutte le volte in cui mi hai fatto (come dici tu) “ingrippare” solamente perché ti piaceva, perché sapevi che solo tu ne eri capace, capace di mettermi in difficoltà con qualche domanda a cui non sapevo come rispondere; ti dicevo che mi facevi pseudo-arrabbiare e tu rispondevi con un semplice “mi piace quando ti incazzi”. Oppure quando all’inizio mi chiamavi “bimba”, Dio mio, odiavo quel soprannome inizialmente, poi un giorno dicesti “ma tu sei solo la MIA bimba”, da lì iniziai ad amarlo. Oppure quando parlando su Whatsapp ti dissi che avevo fame e tu dicesti “ti porterei qualcosa da mangiare, anche se sarebbe solo una scusa per vederti, ma dettagli”, quanto mi facevano bene quei messaggi, non puoi neanche immaginarlo. Purtroppo, ricordo anche quando mi hai detto “io faccio star male troppe persone, sono strafottente proprio a livello 1000”.  Ti ho detto che con me non lo eri e tu hai risposto: “Sì lo so, e questo mi preoccupa”, “Perché?” Ti ho chiesto, e tu hai aggiunto:  “Un giorno te lo dirò”. Purtroppo non me lo hai detto più, forse non lo consideravi più molto importante questo particolare, io si però, ci penso ogni giorno, in ogni momento. Avevi ragione, in questo momento faccio parte di quel “troppe persone”. Non ci è voluto molto per capire che non ero “quella ragazza”, ma una ragazza come tante, come tutte quelle prima di me; pensare che dopo di me ce ne saranno altre non mi fa arrabbiare: mi abbatte. Purtroppo non posso farci niente, o almeno adesso, non posso fare più niente.
Purtroppo ho stupito me stessa, forse non te, forse tu te lo aspettavi. Non ho concluso nulla, non ci sono riuscita, di nuovo. Non mi sono data risposte semplicemente perché non sapevo neanche che domande pormi. Era cosa nuova e cosa strana. Me ne pento, avevi ragione, mi sono pentita; con l’unica differenza che tu avevi detto che mi sarei pentita di averti conosciuta, io invece mi sono pentita di essermi fermata all’improvviso, senza una spiegazione plausibile.
Avevo immaginato tante cose che avremmo potuto fare insieme praticamente in ogni momento della giornata e non solo quando avevo un po’ di tempo libero, ma soprattutto quando avevo qualcosa da fare, magari perché avevo pensieri negativi nella mia testa e avevo bisogno di pensare a qualcosa di bello, avevo bisogno di pensare a te.
Qualche volta mi capita di pensare che alla fine è tutta una cosa psicologica, che se mi auto                             convinco che non c’è più niente, dimenticarti sarà più facile; poi però mi basta vedere una tua foto in qualche social e rimango praticamente bloccata, ferma, a fissare la foto, i tuoi occhi e le tue labbra, il modo in cui sei vestita e infine il luogo. A volte non c’è bisogno neanche della foto per far sì che mi immobilizzi pensando a quanto sono stata stupida. Adesso con me sei indifferente, impassibile, imperturbabile.
Ed è quando ti incontro che ripenso a tutto quello che non avrei dovuto fare, a quello che avrei potuto fare. Quando mi passi davanti è un po’ come vedere ciò che ami arrivare per poi andare, perché non ti sei fermata, perché la tua destinazione non sono più io. Forse mi avevi guardata proprio nel momento in cui io facevo finta di non vederti, probabilmente non lo saprò mai, non saprò tante cose. Non saprò cosa ti piace mangiare nei momenti brutti, non saprò come cucini, non saprò cosa ti piace guardare in TV, non saprò cosa fai quando stai bene o male, non saprò cosa ti piace leggere, non saprò che musica ascolti, non sentirò il tuo profumo, non lo sentirò e non saprò neanche come si chiama, non sentirò mai neanche la metà di quello che io invece provo per te; eppure meno della mia metà basterebbe per tante cose che la testa mi vieta di immaginare, forse perché la mia testa è semplicemente stanca, ma non abbastanza da poter dimenticarti.

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